Edoardo
Rialti: traduttore di Joe Abercrombie e Pierce Brown (solo
per citare i più noti), giornalista de «Il Foglio» e prima ancora,
e forse sopra ogni altra cosa, grande appassionato di fantastico. Un
vero ramingo della parola scritta, insomma! Edo, ricordi il momento
in cui il tuo percorso ha avuto inizio?
Anzitutto, grazie di cuore, Alfonso, per la possibilità di questa chiacchierata! Come diceva il grande romanziere ebreo Chaim Potok, gli inizi sono sempre difficili. Da scrivere o anche solo da rintracciare. Soprattutto quando si va a toccare un nodo interiore, o un grande amore. Per quanto mi riguarda, credo di dover risalire a due immagini che mi porto nel cuore e negli occhi da quando sono bambino, e che hanno dato le coordinate del mio sguardo e poi anche del mio lavoro. Non ho memoria di me senza di esse: la prima è il Fosso di Helm assediato dagli orchi di Saruman, che si riversano nella breccia come un fiume nero, che ride crudele e feroce. L’altra è il momento dell’Odissea in cui Odisseo getta via gli stracci da mendicante, ringiovanisce e tende l’arco d’oro, per lo sconcerto dei Proci. La prima scena viene dalla versione-cartone animato di Ralph Baski, la seconda da un adattamento per ragazzi del poema omerico, ma contengono già tutto, per me: sono come due fermi-immagine di un flusso molto più ampio, di due storie, appunto. Sono i primi due racconti che mi hanno fatto sentire quella strana trafittura alle viscere, che sarebbe poi affiorata in tutte le esperienze decisive della vita, e con quella loro intensità incomunicabile, che comprende e supera sempre tutti i motivi che puoi elencare sul “perché” quella scena, quel personaggio, quel racconto, ti coinvolga tanto. Per me in fondo si tratta sempre e solo di questo. Il grande C.S. Lewis diceva che è più vicino a Milton un ragazzino che lo legga senza capirci granché ma esclami “Wow” del critico raffinato cui però il testo non dica più niente a quel livello di coinvolgimento emotivo, di “connessione sentimentale”, parafrasando Gramsci. Il mio lavoro come critico, traduttore e scrittore è appunto quello di cercare sempre e solo di trasmettere delle storie che reputo importanti, e che abbiano per prima cosa coinvolto, sfidato, trafitto il mio stesso cuore: storie altrui (da segnalare con una recensione, da insegnare all'università o in una conferenza o magari tradurre interamente nella tua lingua) o, si quid est, storie mie.
Parliamo di Tredici Lame – racconti dal Mondo della Prima Legge (inutile nascondervi che mi è piaciuto da matti tenermi al passo con questa sua nuova impresa!). Riusciresti a condensare la raccolta in una sola parola?
Tagliente… Qui ci si taglia eccome, forse andava anche messo in copertina un Maneggiare con cautela. Che sia per l’arguzia della prosa, il suo black humour, per l’audacia degli stereotipi di genere che vengono ribaltati e sfidati a ogni piè sospinto, per le conclusioni “a spirale” che ti riportano spesso al punto di partenza, approfondendolo o trasformandolo, per la ferocia degli scontri (si tratti di lame effettivamente incrociate o duelli verbali), Abercrombie non ci offre tredici racconti, ma davvero tredici lame, a doppio taglio, come spesso sono gli eventi significativi della vita umana, che siano tre le gelide nebbie del suo Nord, le compagnie mercenarie che arrancano polverose sotto il sole della Styria, o in qualunque circostanza attenda il lettore una volta chiuso il libro. Il suo fantasy grimdark, come tutte le finestre narrative autentiche con cui affacciarsi sul mondo, ha il sentore inesorabile delle cose vere. E già mentre ti tagli, sghignazzi, perché te ne accorgi. Lo senti.
Sicuramente avrai un sacco di cose da svelarci...
Dall'edizione limitata di The Heroes |
I racconti di questa raccolta integrano personaggi o storie che i lettori dei romanzi della “Prima Legge” credevano – credevano! – magari già di conoscere, aggiungendo nuovi dettagli del loro passato o di eventi contemporanei e persino successivi a quelli dei libri precedenti, e che gettano spesso una luce diversa. Chi ha amato la pericolosa compagnia di Novedita il Sanguinario, chi ha riso alle battute di quell'irresistibile bugiardo e ubriacone di Nicomo Cosca il mercenario, chi ha parteggiato per la spietata e dolorosa vendetta di Monza Murcatto, li ritroverà ad agire nella loro sconosciuta giovinezza, li vedrà attraverso gli occhi di ruffiani o acerrimi nemici. E potrebbe restare molto, molto sorpreso. Ma non si tratta solo di ritrovare Glotka l’Inquisitore prima che diventasse un mostro sdentato e zoppo, o l’amara saggezza di Curden lo Strozzato e i suoi scalcinati compagni, ma anche di accompagnare una nuova strana coppia di eroi… eroine a essere precisi: Javre, la Leonessa di Hoskopp, una guerriera prodigiosa, dagli appetiti alcolici ed erotici altrettanto poderosi, e la sua compagna di avventure, Shev, una ladra con la passione per le ragazze pericolose e dalle gambe lunghe… Tutto questo, come si sarà certamente già capito, costituisce non solo un grande libro fantasy, ma anche un audace libro “sul” fantasy stesso, una riflessione ironica e piena d’amore per i topoi e stereotipi del genere, dalle guardie che pattugliano i camminamenti (e finiscono sempre spacciate senza il tempo per dire “Ahi”) alla magia (quando inquieta davvero), dalle effettive conseguenze di un conflitto nella prospettiva dei contadini sui cui campi marciano gli eserciti a quanto sia facile che un eroe di guerra diventi un mostro in tempo di pace. Se autori come J.R.R. Tolkien sono i “John Ford” del fantasy, voci e sguardi come quello di Abercrombie sono invece i “Sergio Leone” che investigano le pieghe e piaghe di ciò che credevamo già di sapere. Con umorismo e al tempo stesso commozione.
C’è una divertente tendenza al proverbiale nella scrittura di Abercrombie, come nelle saghe norrene. E i detti memorabili (e tatuabili!) costellano tutte le pagine. Possono affiorare sulle labbra di un protagonista o nel ringhio di un avversario apparentemente secondario. Ma ecco due perle: «Affidare una spada a un uomo è una gran cazzata. Una cazzata per lui, e per chiunque si trovi nei paraggi». A cui aggiungerei la constatazione che in guerra «La sorpresa è come la verginità. Hai solo un’occasione per sfruttarla, e normalmente l’intera faccenda si rivela un’enorme delusione».
Difficoltà se ne trovano sempre… e mi viene da dire «per fortuna», perché, almeno per me, costituiscono un segnale che sto quantomeno cercando davvero di ascoltare la voce del testo e dell’autore. Nel caso dei grandi scrittori come Abercrombie si tratta spesso di tener dietro alla fluidità e arguzia dello stile originale, che sfoggia un’apparente facilità che cancella lo sforzo passato a ottenerla, come uno che spazzi le tracce nella neve alle sue spalle, o un nuotatore che sfrecci in acqua dopo anni di allenamenti. A ciò va aggiunto che l’inglese è un linguaggio “denso”, capace di alludere molto con poco. L'italiano tende a distendere le immagini e le costruzioni, e le stesse costruzioni verbali in –ing, che in inglese possono risultare comunque dinamiche, vanno spesso spezzate per mantenere il ritmo. Joe Abercrombie sa essere estremamente visivo e al tempo stesso, come gli autori di pregio, “scrive con le orecchie” (assonanze, echi, allitterazioni, giochi di parole). Il primo a tagliarsi maneggiandolo è dunque proprio il sottoscritto, sanguinante e felice. E spero di non averlo affatto smussato per i lettori italiani!
EDOARDO RIALTI (1982) ha trent'anni e continuerà ad averli, perché ha un ritratto che invecchia in soffitta al posto suo. È docente di Letteratura Comparata in Italia e in Canada, ed è traduttore e curatore di letteratura inglese, fantasy e fantascienza per Mondadori, Marietti, Lindau. Vive (in treno) tra Firenze, Roma e il mare. Per Cantagalli ha pubblicato L’uomo che ride, Un’infinita sorpresa, La lunga sconfitta, la grande vittoria: biografie letterarie di G.K. Chesterton, C.S. Lewis e J.R.R. Tolkien che raccolgono le puntate uscite tra il 2010 e il 2014 su «Il Foglio». Nel 2016 ha raccontato a puntate la vita e le opere di Christopher Hitchens. Ritiene che l’alcol, in analogia col divino, non risolva i problemi, ma li renda più affrontabili. Come i Greci ama lo sport e le chiacchierate, ma a loro differenza considera la matematica una corruzione egizia. Godersi sia Proust che Stephen King, Platone e George R.R. Martin costituisce per lui segno di grande equilibrio mentale.
Su Tredici lame - Joe Abercrombie | Libri Mondadori
L'anteprima di Tredici lame su Fantasy Magazine
Su Tredici lame - Joe Abercrombie | Libri Mondadori
L'anteprima di Tredici lame su Fantasy Magazine
http://alfonsozarbowriter.blogspot.it/
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