domenica 29 ottobre 2017

Il Trono di spade come non lo avete mai visto

Soffiano ancora lontano i “venti dell'inverno”, ma Martin non ci lascia soli. In libreria dal 24 ottobre, troverete infatti una speciale edizione illustrata del Trono di spade.


Parliamo di un libro in grande formato e con più di settanta illustrazioni, in bianco e nero e a colori. Tantissimi i disegnatori coinvolti. Un progetto fortemente voluto proprio da George R.R. Martin, che per celebrare il ventennale della saga non si è limitato a prestare il suo nome al progetto ma ha voluto partecipare offrendo tantissimi spunti per mostrare ai lettori quella che è la sua visione personale di A song of ice and fire

Ne è saltato fuori un grimorio di architetture opulente e di paesaggi curati nel minimo dettaglio (basta guardare il colossale trono di spade qui in anteprima), che probabilmente nemmeno la serie TV è riuscita a rendere tanto reali, o perlomeno così vicini all'immaginazione dell'autore.

Il Trono di Spade - Edizione illustrata - George R.R. Martin | Oscar Mondadori

Scrivono su MondoFox: «Anche le architetture hanno raggiunto la loro versione definitiva. Martin ha infatti lavorato a lungo con Ted Nasmith per dare forma a quelle descritte nell'opera. Il risultato sono piccoli capolavori di arte architettonica». E ancora: «Ci si è rivolti allora a Marc Simonetti, delle cui opere Martin è innamorato, considerandolo come l'unico in grado di catturare la vera essenza del libro».

Art by Marc Simonetti
E la lista degli artisti coinvolti da Martin nel progetto è parecchio nutrita: John Picacio, Gary Gianni, Didier Graffet, Victor Moreno, Michael Komarck, Arantza Sestayo, Magali Villeneuve, Ted Nasmith, Levi Pinfold, Marc Simonetti e tanti altri.

Insomma, si potrebbe dire che c'è veramente tutto il Trono di spade che non abbiamo ancora visto, qui dentro. Siamo di fronte all'edizione definitiva di un’opera che ha sempre molto di nuovo da proporre e da svelare, e che di certo non può mancare sugli scaffali dei collezionisti. D'ora in avanti non ci sarà più solo la serie TV, a mostrarci le meraviglie e l'orrore di Westeros.

( © Alfonso Zarbo: consulente Oscar Mondadori, editor, social manager) http://alfonsozarbowriter.blogspot.it/

lunedì 16 ottobre 2017

Nella testa dei grandi editori. La punteggiatura nel discorso diretto

Alcune indicazioni sull'utilizzo della punteggiatura nel discorso diretto.

Dal film Ghostwriter.
«Dunque.» Alla fine parlò, e mise un che di definitivo nella parola. «Dunque. Dovevi farti notare da lui, vero? Dovevi attirare l'attenzione. Ebbene. Ha deciso cosa fare di te.» (L'apprendista assassino, Robin Hobb, Fanucci, 2008)

Partiamo dalle basi: virgolette basse (caporali) e virgolette alte.
La maggior parte delle case editrici opta per le caporali. Una dritta: se non le trovi sulla tastiera, la soluzione più rapida è premere alt insieme ai numeri 0171 per ottenere « e alt insieme a 0187 per » (e ne approfitto per segnalarti anche alt 200 per scrivere la È).

Le alternative alle caporali, comunque, esistono. Nel romanzo sci-fi Tutti a Zanzibar di John Brunner (2008), Urania ricorre al trattino lungo: 
– Spicciatevi! – gridò l'ufficiale di rotta. – Muovetevi, per l'amor del cielo!
La differenza rispetto alle virgolette sta tutta nel fatto che non occorre chiudere il parlato con il trattino. Semplice, no? Un po’ meno (finché non ci fai l’abitudine, almeno) lo è saper piazzare virgole e punti: ogni editore ha il proprio modo di uniformare

Quasi sempre, il punto che conclude il periodo viene inserito prima delle virgolette: 
«Sai che cos'è quello?» sussurrò. «È l’ultravioletto.» (H.P. Lovecraft, Necronomicon, Oscar Draghi)
Così faccio anch'io in Watson edizioni e per i romanzi che edito: 
«Se siamo fatti del sogno di Dio, il nostro doveva essere un incubo.» (Jack Sensolini, Il ballo degli infami, 2017)

Il punto va alla fine delle virgolette solo se il parlato è preceduto dai due due punti, come in questa frase de Il Battello del Delirio (George R.R. Martin, Oscar Fantastica, 2017):
L’uomo al tavolo spinse via la zuppa, indicò la sedia di fronte a sé e disse: «Ti stavo aspettando. Prego, accomodati».
Fanucci, invece, il punto fuori dalle virgolette lo omette sempre. (L’evidente disprezzo del ragazzo per Burrich mi sorprese a tal punto che sbottai: «Fitz. Mi chiama fitz.»)

E per le virgole? Ecco come le affrontano i grandi editori: Longanesi aggiunge la virgola dopo le caporali per tutti i discorsi diretti, come ne Il trono senza re di Bernard Cornwell («Già, ci vorrebbe proprio un po’ di birra», brontolai.)


Rizzoli evita le virgole se spezza il parlato con un inciso («Non c’è più niente da fare» disse «e dobbiamo sbrigarci.») ma fa un’eccezione quando la frase tra virgolette prima e dopo viene considerata come due discorsi diretti autonomi. 
«Senti, Enrico,» disse Giacomo, inforcando la bicicletta «ho bisogno di parlarti.»
In Tutti a Zanzibar, invece, Urania inserisce la virgola al termine dell’inciso (– In primo luogo – disse con tono di noia l'ufficiale di rotta, – le persone che recapito qui preferisco non pensarle come persone.) Io preferisco questa scelta. 

Per finire, puntini di sospensione, punti interrogativi ed esclamativi, gerarchia nella punteggiatura. 

Secondo i più, i puntini di sospensione (che sono sempre tre!) non vanno spaziati dalla parola che li precede, mentre uno spazio deve separarli dalla parola che segue. Quest’ultima regola, almeno per Piemme, non vale nel caso in cui la frase si apra con i puntini di sospensione: «...forse, non so... non ricordo» balbettò.

Quando sono presenti punti interrogativi ed esclamativi seguiti dalle virgolette, conviene semplicemente adattarsi alle uniformazioni delle case editrici. Eccone alcune: 
Il detective chiese: «A che ora ha sentito lo sparo?». (Piemme)
Lui domandò: «Come stai?». Poi sbottò: «Ci mancherebbe altro!». (Rizzoli)
Lui disse: «Me ne vado!» (Sperling)
Ed eccoci finalmente alla gerarchia nell'utilizzo della punteggiatura.

L’uso che ne fa Piemme mi sembra il più logico e corretto. Nei dialoghi si usano le virgolette basse o caporali (« ») all'inizio e alla fine delle battute. Se all'interno di queste ne sono richieste altre, si usano le virgolette alte (“ ”) e per un’ulteriore citazione interna si usano le apicali singole (‘ ’). Nel caso, invece, di frasi pensate e non pronunciate si usano le virgolette alte oppure il corsivo.

( © Alfonso Zarbo: consulente Oscar Mondadori, editor, social manager) http://alfonsozarbowriter.blogspot.it/

martedì 10 ottobre 2017

Il Battello del Delirio. Torna in libreria “il vampiro secondo Martin”

Stazza imponente, diciotto caldaie, intarsi sui ponti e grandi ruote a pale che divorano il fiume come mai si era visto prima. Il Fevre Dream non è un semplice battello. È il più veloce di tutti. Ma cosa si cela dietro all'incredibile dono del pallido gentiluomo inglese Joshua York a un capitano in rovina? Il viaggio comincia, nel caldo opprimente di un luglio torrido del 1857, sulle acque torbide e insondabili del fiume Mississipi...

Romantico, poetico e terrificante: così il celebre autore di fantascienza Roger Zelazny ha definito Il Battello del DelirioIl romanzo di George R.R. Martin, pubblicato in Italia prima da Fanucci, poi da Gargoyle Books e ormai introvabile, aveva già riscosso negli anni passati un enorme successo di critica dalle maggiori testate sul fantastico e sul genere horror:

“Qualcuno ha definito Il Battello del Delirio un incrocio fra Bram Stoker e Mark Twain, ovvero una storia steamboat in salsa vampirica, tuttavia il debito verso questi due autori è rimborsato con gli interessi.” (Fantasy Magazine)  

“Il grande maestro di fantasy e fantascienza, celebre per le sue Cronache del ghiaccio e del fuoco, rielabora, inventa e sorprende, tratteggiando al contempo un nitido ritratto della “vita di fiume” durante il XIX secolo.” (Horror.it)  

“Per farne un film ci vorrebbero la dimensione epica di John Ford, la grandiosità primeva di John Milius e il talento visionario di un Francis Ford Coppola agli steroidi.” (Alan D. Altieri)

“Una grande prova narrativa che mescola generi e stili, visionaria e terrificante quanto basta per soddisfare diversi palati: ancora una volta, grazie George.” (Sognando Leggendo)

Ora Il Battello del Delirio torna in libreria per la collana Oscar Fantastica di Mondadori. Le caldaie sono accese, la spedizione più sinistra di sempre può avere inizio. Quale occasione migliore per riassaporare “il vampiro secondo Martin”?

La trama sul nuovo sito Oscar Mondadori
Ne parliamo anche sulla pagina Oscar Mondadori Vault


( © Alfonso Zarbo: consulente Oscar Mondadori, editor, social manager)
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lunedì 9 ottobre 2017

Tredici Lame. Intervista al traduttore di Joe Abercrombie

Edoardo Rialti: traduttore di Joe Abercrombie e Pierce Brown (solo per citare i più noti), giornalista de «Il Foglio» e prima ancora, e forse sopra ogni altra cosa, grande appassionato di fantastico. Un vero ramingo della parola scritta, insomma! Edo, ricordi il momento in cui il tuo percorso ha avuto inizio?

Anzitutto, grazie di cuore, Alfonso, per la possibilità di questa chiacchierata! Come diceva il grande romanziere ebreo Chaim Potok, gli inizi sono sempre difficili. Da scrivere o anche solo da rintracciare. Soprattutto quando si va a toccare un nodo interiore, o un grande amore. Per quanto mi riguarda, credo di dover risalire a due immagini che mi porto nel cuore e negli occhi da quando sono bambino, e che hanno dato le coordinate del mio sguardo e poi anche del mio lavoro. Non ho memoria di me senza di esse: la prima è il Fosso di Helm assediato dagli orchi di Saruman, che si riversano nella breccia come un fiume nero, che ride crudele e feroce. L’altra è il momento dell’Odissea in cui Odisseo getta via gli stracci da mendicante, ringiovanisce e tende l’arco d’oro, per lo sconcerto dei Proci. La prima scena viene dalla versione-cartone animato di Ralph Baski, la seconda da un adattamento per ragazzi del poema omerico, ma contengono già tutto, per me: sono come due fermi-immagine di un flusso molto più ampio, di due storie, appunto. Sono i primi due racconti che mi hanno fatto sentire quella strana trafittura alle viscere, che sarebbe poi affiorata in tutte le esperienze decisive della vita, e con quella loro intensità incomunicabile, che comprende e supera sempre tutti i motivi che puoi elencare sul “perché” quella scena, quel personaggio, quel racconto, ti coinvolga tanto. Per me in fondo si tratta sempre e solo di questo. Il grande C.S. Lewis diceva che è più vicino a Milton un ragazzino che lo legga senza capirci granché ma esclami “Wow” del critico raffinato cui però il testo non dica più niente a quel livello di coinvolgimento emotivo, di “connessione sentimentale”, parafrasando Gramsci. Il mio lavoro come critico, traduttore e scrittore è appunto quello di cercare sempre e solo di trasmettere delle storie che reputo importanti, e che abbiano per prima cosa coinvolto, sfidato, trafitto il mio stesso cuore: storie altrui (da segnalare con una recensione, da insegnare all'università o in una conferenza o magari tradurre interamente nella tua lingua) o, si quid est, storie mie.

Parliamo di Tredici Lame – racconti dal Mondo della Prima Legge (inutile nascondervi che mi è piaciuto da matti tenermi al passo con questa sua nuova impresa!). Riusciresti a condensare la raccolta in una sola parola?

Tagliente… Qui ci si taglia eccome, forse andava anche messo in copertina un Maneggiare con cautela. Che sia per l’arguzia della prosa, il suo black humour, per l’audacia degli stereotipi di genere che vengono ribaltati e sfidati a ogni piè sospinto, per le conclusioni “a spirale” che ti riportano spesso al punto di partenza, approfondendolo o trasformandolo, per la ferocia degli scontri (si tratti di lame effettivamente incrociate o duelli verbali), Abercrombie non ci offre tredici racconti, ma davvero tredici lame, a doppio taglio, come spesso sono gli eventi significativi della vita umana, che siano tre le gelide nebbie del suo Nord, le compagnie mercenarie che arrancano polverose sotto il sole della Styria, o in qualunque circostanza attenda il lettore una volta chiuso il libro. Il suo fantasy grimdark, come tutte le finestre narrative autentiche con cui affacciarsi sul mondo, ha il sentore inesorabile delle cose vere. E già mentre ti tagli, sghignazzi, perché te ne accorgi. Lo senti.

Dall'edizione limitata di The Heroes
Sicuramente avrai un sacco di cose da svelarci...

I racconti di questa raccolta integrano personaggi o storie che i lettori dei romanzi della “Prima Legge” credevano – credevano! – magari già di conoscere, aggiungendo nuovi dettagli del loro passato o di eventi contemporanei e persino successivi a quelli dei libri precedenti, e che gettano spesso una luce diversa. Chi ha amato la pericolosa compagnia di Novedita il Sanguinario, chi ha riso alle battute di quell'irresistibile bugiardo e ubriacone di Nicomo Cosca il mercenario, chi ha parteggiato per la spietata e dolorosa vendetta di Monza Murcatto, li ritroverà ad agire nella loro sconosciuta giovinezza, li vedrà attraverso gli occhi di ruffiani o acerrimi nemici. E potrebbe restare molto, molto sorpreso. Ma non si tratta solo di ritrovare Glotka l’Inquisitore prima che  diventasse un mostro sdentato e zoppo, o l’amara saggezza di Curden lo Strozzato e i suoi scalcinati compagni, ma anche di accompagnare una nuova strana coppia di eroi… eroine a essere precisi: Javre, la Leonessa di Hoskopp, una guerriera prodigiosa, dagli appetiti alcolici ed erotici altrettanto poderosi, e la sua compagna di avventure, Shev, una ladra con la passione per le ragazze pericolose e dalle gambe lunghe… Tutto questo, come si sarà certamente già capito, costituisce non solo un grande libro fantasy, ma anche un audace libro “sul” fantasy stesso, una riflessione ironica e piena d’amore per i topoi e stereotipi del genere, dalle guardie che pattugliano i camminamenti (e finiscono sempre spacciate senza il tempo per dire “Ahi)  alla magia (quando inquieta davvero), dalle effettive conseguenze di un conflitto nella prospettiva dei contadini sui cui campi marciano gli eserciti a quanto sia facile che un eroe di guerra diventi un mostro in tempo di pace. Se autori come J.R.R. Tolkien sono i “John Ford” del fantasy, voci e sguardi come quello di Abercrombie sono invece i “Sergio Leone” che investigano le pieghe e piaghe di ciò che credevamo già di sapere. Con umorismo e al tempo stesso commozione.

Dicci un po': c'è una frase o magari un detto che ti sono rimasti impressi?

C’è una divertente tendenza al proverbiale nella scrittura di Abercrombie, come nelle saghe norrene. E i detti memorabili (e tatuabili!) costellano tutte le pagine. Possono affiorare sulle labbra di un protagonista o nel ringhio di un avversario apparentemente secondario. Ma ecco due perle: «Affidare una spada a un uomo è una gran cazzata. Una cazzata per lui, e per chiunque si trovi nei paraggi». A cui aggiungerei la constatazione che in guerra «La sorpresa è come la verginità. Hai solo un’occasione per sfruttarla, e normalmente l’intera faccenda si rivela un’enorme delusione».

Non dev'essere facile tradurre Joe: hai riscontrato qualche difficoltà agli inizi? Penso a qualche terminologia particolare, alle scene di combattimento, alla violenza... E ti capita ancora, in questo caso con Tredici Lame?

Difficoltà se ne trovano sempre… e mi viene da dire «per fortuna», perché, almeno per me, costituiscono un segnale che sto quantomeno cercando davvero di ascoltare la voce del testo e dell’autore. Nel caso dei grandi scrittori come Abercrombie si tratta spesso di tener dietro alla fluidità e arguzia dello stile originale, che sfoggia un’apparente facilità che cancella lo sforzo passato a ottenerla, come uno che spazzi le tracce nella neve alle sue spalle, o un nuotatore che sfrecci in acqua dopo anni di allenamenti. A ciò va aggiunto che l’inglese è un linguaggio “denso”, capace di alludere molto con poco. L'italiano tende a distendere le immagini e le costruzioni, e le stesse costruzioni verbali in –ing, che in inglese possono risultare comunque dinamiche, vanno spesso spezzate per mantenere il ritmo. Joe Abercrombie sa essere estremamente visivo e al tempo stesso, come gli autori di pregio, “scrive con le orecchie” (assonanze, echi, allitterazioni, giochi di parole). Il primo a tagliarsi maneggiandolo è dunque proprio il sottoscritto, sanguinante e felice. E spero di non averlo affatto smussato per i lettori italiani!

EDOARDO RIALTI (1982) ha trent'anni e continuerà ad averli, perché ha un ritratto che invecchia in soffitta al posto suo. È docente di Letteratura Comparata in Italia e in Canada, ed è traduttore e curatore di letteratura inglese, fantasy e fantascienza per Mondadori, Marietti, Lindau. Vive (in treno) tra Firenze, Roma e il mare. Per Cantagalli ha pubblicato L’uomo che ride, Un’infinita sorpresa, La lunga sconfitta, la grande vittoria: biografie letterarie di G.K. Chesterton, C.S. Lewis e J.R.R. Tolkien che raccolgono le puntate uscite tra il 2010 e il 2014 su «Il Foglio». Nel 2016 ha raccontato a puntate la vita e le opere di Christopher Hitchens. Ritiene che l’alcol, in analogia col divino, non risolva i problemi, ma li renda più affrontabili. Come i Greci ama lo sport e le chiacchierate, ma a loro differenza considera la matematica una corruzione egizia. Godersi sia Proust che Stephen King, Platone e George R.R. Martin costituisce per lui segno di grande equilibrio mentale.

Su Tredici lame - Joe Abercrombie | Libri Mondadori
L'anteprima di Tredici lame su Fantasy Magazine

( © Alfonso Zarbo: consulente Oscar Mondadori, editor, social manager)
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lunedì 2 ottobre 2017

Sceneggiatura. Un grande autore ha un tema da raccontare

Art by http://www.eliciaedijanto.com/
Come ci insegna Story, «generalmente i grandi scrittori non sono eclettici».

Ernest Hemingway era affascinato dal come affrontare la morte. Dopo essere stato testimone del suicidio del padre, il suicidio era diventato il tema centrale dei suoi scritti e della sua vita. Diede la caccia alla morte in guerra, nello sport, nei safari, finché non la trovò mettendosi una canna di fucile in bocca.

Il padre di Charles Dickens era stato imprigionato per debiti, e allora lui scrisse di un bambino solitario alla costante ricerca del padre perduto (David Copperfield, Oliver Twist, Grandi speranze).

Molière ha rivolto il proprio occhio critico all'idiozia, alla depravazione della Francia del diciassettesimo secolo e ha avuto successo grazie a commedie con titoli che sembrano un elenco dei vizi umani: L’avaro, Il misantropo, Il malato immaginario.

Un pensiero all’amico cacciatore di Apocalissi Sergio Alan D. Altieri, che per sempre, «da sempre e ovunque – nel passato, nel presente o nel futuro che è già oggi –, ci racconta della Fine», convinto che «tra sette miliardi di esseri umani sul pianeta e l’agonia delle foreste pluviali, tra la scomparsa dei ghiacciai e il dilagare del petrolio negli oceani, tra il problema dei rifiuti urbani e quello delle scorie radioattive, tra la desertificazione delle fasce tropicali e il raddoppio ogni dieci anni del fabbisogno planetario di potenza elettrica, be’, forse non è del tutto impossibile che la Dinamica dei Sistemi stia per richiamarci all'ordine. In modo gelidamente sgradevole». (Intervista di Danilo Arona, su Carmilla.)

Ecco: ciascuno di questi autori ha trovato il proprio tema. Un’idea. Un solo argomento, ma ossessivamente mirato, che ha acceso la scintilla e che lui ha inseguito (con più o meno variazioni) nel suo lungo viaggio di scrittore.

Nel mio caso, un po’ riallacciandomi anche al tema di Sergio, credo che la vita sia una guerra senza possibilità di scampo. Ma bisogna reagire. Molte storie che ho scritto (Come falene nella polvere da sparo, in Schegge, IvengralUltima Oasi) parlano di questo.

Il tuo tema qual è?

( © Alfonso Zarbo: consulente Oscar Mondadori, editor, social manager)
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